LE NUOVE "COLONNE D'ERCOLE"
Daniele Morgera, Giornalista Rai. Fa parte della redazione "Scienze e Società" del Giornale Radio, dove è approdato dopo essere stato conduttore delle edizioni del Gr3 e del Gr1 e autore di numerosi reportage e inchieste sull'attualità e la cronaca per i programmi di Radio 1. In passato, ha lavorato anche per la carta stampata e l'emittente televisiva internazionale Euronews. Ha vinto il Premio Simona Cigana 2017-2018 per il miglior servizio d’inchiesta.
La tecnologia sembra proiettata verso orizzonti infiniti. E non si scorgono, nemmeno in lontananza, le “colonne d’Ercole”. Non sembrano esserci frontiere che non possano essere esplorate e superate grazie alla potenza di strumenti automatizzati, dell’intelligenza artificiale, di algoritmi, smartphone, app, modelli e sistemi computerizzati di calcolo e combinazione.
Questa esplosione di possibilità trasforma giorno per giorno tutti i campi delle attività umane, irrorandoli di nuova linfa. Ma è indubbiamente nella medicina che sta producendo i maggiori benefici: farmaci specifici, condivisione di banche dati, robot per gli interventi chirurgici e la gestione intelligente dei rischi, diagnosi precoci, cure personalizzate sulla base dell’analisi dei fattori genetici.
Eppure, questi giorni duri e tristi di pandemia mettono in evidenza - con brutale realismo - le fragilità del nostro sistema sanitario, malgrado l’eroismo e la generosità di tanti dottori e infermieri. Perché?
Perché – diceva Henry Ford – il progresso è tale quando è per tutti. Perché, nella nostra società globale, c’è un curioso e devastante fenomeno: le negatività e i pericoli contagiano subito tutti nello stesso momento; le conquiste e le opportunità invece sono troppo spesso solo per alcuni che le detengono, le producono e le amministrano. Sono la nuova fonte del potere. Un potere da accaparrarsi e controllare. Anche quando non si tratta di segreti e scoperte di portata copernicana, ma di comuni di mascherine, ventilatori e dispositivi prodotti in quantità industriale.
C’è insomma una spaccatura profonda tra la tecnologia esistente e la tecnologia disponibile. Lo sperimentiamo abbastanza facilmente anche nella nostra dimensione. Non tutti gli ospedali possono avere le attrezzature al top: ci sono centri di eccellenza, poi spazi desertici di mancata assistenza in alcuni territori. In molti casi, mancano finanche i reparti di terapia intensiva e, laddove ci sono, non sono stati concepiti per sopportare – come abbiamo visto - l’onda d’urto di un’emergenza mondiale come il Covid19.
Il know how e i mezzi dunque ci sono. Ma non ovunque servano. Mancano nelle periferie, negli Stati più deboli, nei posti ancora oggi isolati, malgrado questa sia l’era della connessione h24. E a scavare un solco tra "tecnologia esistente" e "tecnologia disponibile" è anche il tempo. Il tempo della ricerca, il tempo delle decisioni, il tempo del business. Che spesso non coincidono con il tempo delle persone.
A guardar bene dunque, in questa navigazione sconfinata nel mare magnum della conoscenza che la tecnologia alimenta impetuosamente, forse occorrerebbero delle nuove "colonne d’Ercole", non quelle classiche che segnavano limiti invalicabili (che qualche volta pure servono), ma dei solidi “pilastri ideali” che possano darci un punto di riferimento certo.
E questo punto di riferimento è l’umano. Penso che – nella medicina come in tutti i settori – occorra rifiutare una ingannevole etica del post-umano, che si sta subdolamente imponendo nell’acquiescenza collettiva o meglio nella distrazione. Il post-umano o è nuovo umanesimo, oppure non è. La tecnologia serve per salvare vite, migliorare vite, difendere vite e anche, nel rispetto di valori etici, a generare vite. Se dimentichiamo questo, perdiamo il senso profondo della rivoluzione in atto. La scienza è talmente grande che può fare a meno di noi. Ma siamo noi ad aver bisogno della scienza. Di una scienza fatta da donne e uomini per tutte le donne e gli uomini.